Famiglia FERRARI


FERRARINI, FERRERO, FERRERI, DE FERRARI

FERRARI, FERRARINI, FERRERO, FERRERI, DE FERRARI: dal nome di mestiere “ferraro” “fabbro ferraio”. La grande diffusione del cognome in tutta l'Italia deriva dalla diffusione di un mestiere che rivestì un'importanza di primo piano nell'economia dei secoli passati. Il primo Ferrari registrato a Castelnuovo risulta essere Benedetto di Domenico del fu mastro Francesco, battezzato il 29 maggio 1563. Tra i componenti di questa famiglia si ricordano: Domenico di M. Francesco, battezzato il 14 marzo 1596, Prete; Francesco di Giacomo, battezzato il 3 agosto 1615, sposò Maria Brandonia Pucci; Ambrogio di M. Francesco, battezzato il 5 febbraio 1634, Rettore; Giacomo Antonio di Alfredo, battezzato il 4 settembre 1676, Prete; Michele Arcangelo, battezzato l’ 11 febbraio 1712, Prete; Giò Batta, battezzato il 2 luglio 1741, Prete; Francesco Antonio, battezzato il 30 giugno 1797, Prete. La stirpe Ferrari, diversificatasi nel tempo in varie famiglie del Castelnovese delle quali alcune si sono estinte, è da ricondurre molto probabilmente ad un unico ceppo il cui capostipite M. Giacomo Ferrari compare a Castelnuovo Magra fin dalla prima metà del 1500. La consuetudine del maggiorasco operante in Italia fino al 1865, secondo la quale il patrimonio della famiglia veniva interamente trasmesso al primogenito, e inoltre la circostanza che spesso gli eredi diretti erano solo femmine, sono causa, in mancanza di una legge sulla legittima, di profondi rimescolamenti in questa stirpe, sì che oggi risulta quasi irriconoscibile l'imparentamento di molti dei Ferrari discendenti dall'unico ceppo. Tuttavia sembra utile e corretto riportare l'albero genealogico discendente dal sopra citato M. Giovanni Ferrari, gentilmente rilasciatoci dal signor Giovanni Ratto, uno degli ultimi eredi di tale casato. Inoltre è nostro scopo in questa relazione, integrare sommariamente le molte notizie (apparse in documenti assai dettagliati e pubblicati da storici e ricercatori e riferentisi in particolare ad alcuni personaggi emergenti nel '900), riportando alcune testimonianze verbali raccolte nel paese di Castelnuovo Magra e poco conosciute dal grosso pubblico. A memoria d'uomo esistevano in Castelnuovo Magra almeno tre “famiglie” Ferrari emergenti: I Ferrari “della porta”, i Ferrari “del Ferraretto” ed i Ferrari “del torchio”. Col primo nome era chiamata una famiglia che abitava in località “Borghetto” a livello dell'ingresso del paese, in una casa che ancora bene si riconosce poiché presenta il portone ad un livello più basso della salitina che conduce verso l'abitato: ciò si deve all'innalzamento del piano viario quando nel 1810 fu realizzata la carrozzabile ad integrazione della vecchia mulattiera, innalzamento resosi necessario per agevolare l’ingresso al paese, delle carrozze. Di questo “ramo” Ferrari vengono ricordati due fratelli sacerdoti dei primi del '900: uno parroco e l'altro curato. Questi due preti, pur non venendo meno ai loro uffici religiosi di routine, erano animati da grande spirito venatorio per cui, si racconta, dopo la prima messa del mattino celebrata con la massima sollecitudine, si spogliavano rapidamente dei paramenti sacri ed, imbracciati i fucili che tenevano poco discosto dalla Sacrestia, slegavano gli impazienti cani e correvano per valli e colline a caccia di selvaggina a quel tempo certamente abbondante. Dedicavano poco tempo al riposo e anche di notte malvolentieri offrivano le stanche membra alle promettenti braccia…. di Morfeo, preferendo occupare gran parte delle lunghe ore in impegnative partite a “sette e mezzo” con una compaesana, di carattere piuttosto mascolino, grande amica…. di Bacco e tabacco. I Ferrari “dei Ferraretto” abitavano in via del Pozzo, oggi Via Veneto, così chiamata per il pozzo (oggi chiuso) che si trovava nel giardino della casa oggi appartenente alla signora Bianchi Fontani Magda, al pozzo era dato accesso al popolo per rifornimento d'acqua, prima che fosse istituita la fontana pubblica a fianco dell'antico lavatoio nella discesa verso il cimitero. I Ferrari “del torchio” erano proprietari di un gruppo di case in Via Roma (oggi appartenenti ai discendenti Bonatti) che inglobavano un torchio per la spremitura delle olive raccolte nei terreni dei Ferrari stessi. Questa famiglia aveva uno stemma gentilizio la cui immagine in marmo campeggia in bella vista sulla parete a mezzogiorno dell'edificio, dalla parte del cortile oggi trasformato in giardino. Lo stemma è rappresentato da un'incudine con martello che sovrasta il motto “NON UNO ICTU”, che sta forse a indicare che la vita non si conquista con un colpo solo ma con lunghi tentativi e sacrifici. Questo motto racchiude con sintesi mirabile la lunga storia di questo ramo dei Ferrari che già fin dal 1700, nell'epoca dei “lumi”, era coinvolta nel grande spirito innovativo della nuova corrente filosofica la quale andava suggerendo nuovi spunti di intervento nelle arti, nelle scienze e perfino nel campo dell'agricoltura. Spinti da questa ventata di rinnovamento i Ferrari danno avvio ad una grande trasformazione nelle loro proprietà terriere castelnovesi, trasformando i boschi di castagni e di cerri in fiorenti oliveti. Questa radicale modifica agraria comporta non soltanto una rinnovata ricchezza nei proprietari, ma anche un profondo cambiamento nelle abitudini alimentari del popolo che da un regime povero, fatto soprattutto di farina di castagne, passa ad un regime più ricco a base di olio d'oliva. Tutto ciò si ripercuote anche nel linguaggio popolare, arricchendone il contenuto oltre che arricchire soprattutto la tavola….Gianfranco Cricca ha riportato alcuni detti popolari castelnovesi nel suo “antiche ricette di Castelnuovo” e che ci piace ricordare nel dialetto originario “nkaarse a gréspa da a panza”; “manàe kome r pan”; “gé vorì da bokonica” ecc. ecc. L'accresciuto potere finanziario dei Ferrari consente loro di costruire il bel palazzo situato in Via Dante (oggi ancora noto come Palazzo Ferrari) e a provvedere ad arricchirne l'arredamento con mobili, sculture in marmo, armi antiche ecc. I lampadari di Murano vengono acquistati direttamente a Venezia e trasportati a Castelnuovo (potenza del volere!) con un carro di proprietà degli stessi Ferrari, trainato da buoi. In tale circostanza vengono donati alla chiesa del paese ricchi lampadari e damaschi antichi molto belli per addobbare il colonnato nelle grandi feste religiose. Ma accanto alla ricchezza cresce anche l'ambizione culturale che viene realizzata non solo con la frequentazione al…tempio di Minerva, ma anche alle case delle famiglie che “contavano” per nobiltà e per ricchezza: infatti vengono celebrati matrimoni di prestigio con cui la famiglia Ferrari sale sempre più in alto nella scala sociale. Arriviamo così ad Angelo Ferrari, nato il 26 Agosto 1828, che sposa la signorina Luisa Fazzi, figlia del notaio Fazzi Giovanni di nobile e ricca discendenza castelnovese, proprietaria di molti palazzi (e della marchesa Magni Griffi di Sarzana), palazzi situati in un'area occupata dall'attuale Via Dante, tale zona a quel tempo chiamata “La Piazza” perché comprendeva ancora delle aree adibite ad orto, col tempo edificate fino a unificare i due centri del paese: quella a est della chiesa o del Borghetto e quella ad ovest del castello o della Querciola. Angelo Ferrari, figlio di Michele Arcangelo deceduto nel 1847, era fratello di Pietro Andrea, di Giuseppe e di altre sorelle. Essendo secondogenito rispetto ad Andrea, subisce il danno derivante dalla consuetudine nel maggiorasco e, forte di tale esperienza, interrompe per parte sua tale usanza, lasciando eredi del proprio patrimonio, in parti uguali, ambedue i figli Michele e Filippo. Ma, per sua prematura morte, i beni di famiglia vengono amministrati del fratello Giuseppe più giovane di 3 anni, rimasto scapolo. Tuttavia, per colmo di sventura, il nome Ferrari si estingue con questi ultimi eredi poiché sia Michele che Filippo non avranno dai rispettivi matrimoni figli maschi, ed il patrimonio verrà suddiviso fra molti eredi di cognome diverso. Infatti Michele Ferrari, nato nel 1866, sposatosi con Luisa Fiori di Sarzana figlia del notaio Fiori, avrà due figlie: Andreina andata in sposa a un Natalini di Roma, ricco proprietario di mulini; ed Angela, andata poi in sposa con un Ratto di Carrara. Michele Ferrari morirà nel 1941 dopo aver dedicato la vita agli studi della filosofia, della storia (in particolare di quella locale e su cui ci ha lasciato importanti documenti). Di questa figura nobile di nascita e di ingegno, molti ricercatori e storici hanno lasciato profili dettagliati. Filippo Ferrari, nato nel 1868, sposa Maria Antonietta Beverini di La Spezia, discendente da nobile famiglia pontremolese. Muore a Castelnuovo nel 1944 nella villa ereditata dal padre e alla quale scherzosamente aveva attributo il nome, poi rimasto per sempre, “Villa di Boboli”; ha avuto due figlie: Bianca D’Apua (la nota poetessa castelnovese) e Livia: quest'ultima, andata in sposa a Enrico Bonatti, avrà 9 figli: sette maschi e due femmine delle quali Romanella dimora spesso nella suddetta Villa di Boboli. Bianca “D'Apua” Ferrari, era morta ultranovantenne nel gennaio del 1994, lasciando un immenso vuoto non soltanto in seno alla propria famiglia ma anche in quelle persone (molte, sia nei ceti socialmente più evoluti, sia in quelli più modesti) che hanno avuto l'occasione di conoscerne le virtù morali e quelle culturali. Soltanto guardandone le foto dei migliori anni giovanili emerge la sua personalità di donna dotata di grande spiritualità; i suoi scritti poi, apprezzati addirittura da Filippo Tommaso Martinetti promotore e sostenitore del futurismo, ne sottolineano i grandi orizzonti in cui si muoveva la sua poesia.



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